Riportiamo qui un estratto dell’intervista ad uno dei tre relatori al dibattito “Cristiani in Politica” del 14 novembre 2017
Perché parlare di cristiani impegnati in politica? Non bisogna forse evitare di mescolare fede e impegno nelle istituzioni?
Dipende: dal punto di vista ecclesiale è bene tenere distinte le cose, in un duplice senso: per evitare che ogni presa di posizione opinabile di singoli credenti possa essere attribuita a una chiesa nel suo complesso (di qualsiasi confessione essa sia), limitandone per ciò stesso la sua libertà di annunciare il Vangelo, e per evitare che ci possa essere una minaccia di qualche forma di pressione autorevole di istituzioni ecclesiastiche sulla politica e le istituzioni. Ma la domanda sul nesso tra impegno politico (personale o di gruppo) e convincimenti religiosi è in qualche modo ineludibile, in quanto nella esperienza vitale di ciascuno si pone sempre un problema di coerenza e di unitarietà della coscienza, che impone di tenere sempre aperto un dialogo tra le due dimensioni. Anzi, il giudizio del Vangelo dovrebbe sempre essere un elemento che fa chiarezza nella storia di impegno di ogni cristiano nel mondo.
Ha senso parlare di forme politiche organizzative di ispirazione cristiana? Su quali basi è possibile immaginarsi un programma politico “cristiano”? Esistono altri approcci?
Beh, su questi aspetti non ci sono ricette valide una volta per sempre. E’ la storia che via via suggerisce un modello percorribile o smentisce soluzioni che sono attardate sul passato. Non esiste un solo programma politico cristiano, anzi, ci sono sempre state sottolineature molto diverse tra credenti, e una serie di impostazioni culturali molto pluralistiche. Tuttavia, nella storia europea (e non solo) del ‘900 si è affermato il modello dei partiti di “democrazia cristiana” che hanno rielborato una serie di elementi della cultura cristiana in chiave di riforma degli Stati liberali e demoratici, nella dialettica con altre forza culturali e politiche. Hanno avuto un ruolo importante come contributo dei credenti al progresso civile dell’umanità, e vorrei dire anche alla crescita della Chiesa stessa, educando le gerarchie alla libertà. Che questo modello sia ancora percorribile o sia definitivamente consegnato alla storia dipende da tante condizioni di tipo sociale, politico, istituzionale. Nell’esperienza italiana è superato da tempo, anche se molti credenti sono ancora impegnati in politica all’interno di partiti pluralistici, condividendo un progetto e cercando di animarlo con la propria cultura.
Può un cristiano essere attivo nello sviluppo di un’etica universale, all’interno del villaggio globale?
Naturalmente sì. C’è la possibilità, sulla base dell’ispirazione evangelica, di costruire un proprio contributo, che non può che poi confrontarsi con altre fonti di ispirazione e correnti di pensiero. La fede è sempre fonte di umanità vera, quando è autentica, e quindi permette di incontrare uomini e donne sul terreno della comune razionalità e passione. Il nostro grande cardinal Martini citava una battuta di Bobbio, per cui la vera divisione in fondo non è quella tra credenti e non credenti ma tra pensanti e non pensanti…
Nel suo intervento parlerà di Papa Francesco e dell’impegno politico del cristiano. Quali novità ha portato il suo pontificato?
Credo sia una novità importante, sia sul terreno che qui ci interessa, come anche su tanti altri aspetti del ministero papale. Nel nostro caso, possiamo dire sinteticamente così: egli ha contribuito a togliere ogni spazio a una visione del rapporto tra fede e politica di tipo “ideologico”, in cui una serie di posizioni tradizionali legate alla riflessione sulla “natura” degli esseri umani veniva interpretata dalla Chiesa come fondamento della propria illusoria guida autorevole della società (o come messaggio di una minoranza assediata, a seconda dei singoli casi). In Italia si era parlato di una Chiesa che difendeva i “valori non negoziabili”: lui ha smontato questa formula con una battuta. Se sono valori, è ovvio che non siano negoziabili, ma il problema non è difendere i valori, ma vederli applicati nella complessità storica. Per questo, egli sta favorendo una ricentratura attorno al messaggio evangelico riletto nella sua semplice e sempre sconvolgente attualità: per cui la misericordia divina raggiunge ogni essere umano e chiede a ogni essere umano di cambiare i rapporti con i propri simili. Ecco allora le posizioni forti che rifiutano la “globalizzazione delle diseguaglianze”, criticano la società dello scarto, contestano la creazione di barriere per impedire gli spostamenti degli esseri umani, condannano ogni violenza che è da sostituire con il dialogo e la mediazione. Un papa che fa politica? Qualcuno l’ha accusato di essere l’ultimo comunista. Non direi proprio: è un papa che usa la radicalità del Vangelo per ricordare che quella è la pietra di paragone di ogni tipo di politica.Quella è “Politica” con la p maiuscola. Poi, naturalmente, il mondo non è ancora il regno di Dio, e sta alla creatività dei credenti impegnati di trovare il modo di costruire percorsi di cambiamento compatibili e pratici (“avviare processi”, come ha scritto nell’Evangelii gaudium, più che “occupare spazi”), in modo da avvicinare poco per volta questo esigente termine di paragone. Il papa riconsegna quindi grande autonomia e pienezza di ruolo progettuale ai politici credenti, che devono lavorare più di prima…
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